Vita segreta delle emozioni

Febbraio 18, 2022

Vita segreta delle emozioni: sono incappato in maniera assolutamente accidentale in questo libro, un pomeriggio di inizio autunno, mentre gironzolavo con mia figlia per una delle librerie della città in cui viviamo. Ha catturato la mia attenzione per una questione spaziale, di vicinanza sullo scaffale con il libro del prof.re Galimberti “Il libro delle emozioni” che da tempo occupava un suo spazio all’interno del mio carrello di Amazon.

Manuale emotivo delle emozioni

Questo manuale emotivo, così come lo definisce la stessa autrice Ilaria Gaspari, ci accompagna in un viaggio autobiografico, filosofico ed esperienziale attraverso emozioni, letteratura e vizi capitali. La scrittrice ci invita a riconoscere la nostra vulnerabilità, ognuno a suo modo ne è colpito, così da evitare quelle emozioni negative che ci fanno chiudere in noi stessi e portano alla rottura della relazione con gli altri e con il mondo conducendoci all’inautenticità, al non essere noi stessi e al non vivere la nostra vita.

Un percorso che parte dalle emozioni

Il libro vuole essere un percorso, una sorta di breve viaggio emotivo che, partendo dalle emozioni connesse con la coscienza del tempo e passando per quelle legate al conflitto dell’Io con l’altro nella definizione (impossibile) dei conflitti dell’identità, approda all’apertura al mondo che segue il riconoscersi reciproco.

La nostalgia

La prima emozione che incontriamo lungo questo percorso è la nostalgia. Essa riguarda l’impossibilità di poter tornare nel luogo (non solo fisico, potrebbe essere anche un determinato periodo della nostra vita) a cui si sente di appartenere, che si traduce in un senso di smarrimento e di estraniazione da noi stessi.

La posizione del nostalgico è una posizione ambigua, perché sa che tornare in quel luogo non sarebbe come è stato o com’è nel suo ricordo, in quanto avere a che fare con la nostalgia vuol dire, anche, avere a che fare con l’indocile, perenne limite dell’esperienza umana: il tempo. Qui, lo scorrere del tempo è inteso come la riduzione delle possibilità d’azione dell’essere umano.

Le emozioni: il rimpianto e il rimorso

Al tempo e alle scelte sono connesse anche le due emozioni successive: il rimpianto e il rimorso. Nel primo caso abbiamo a che fare con le possibilità che non abbiamo colto e, nel secondo, con gli sbagli commessi: questo è il tempo del passato e delle decisioni prese (qui entrano in gioco i temi della libertà e della responsabilità di cui ho parlato in un precedente articolo).

Secondo l’autrice sono il risultato dell’essere vivi, del fatto che si sia liberi di scegliere e che, per definizione e natura, ogni scelta implichi una rinuncia. Ogni volta che decidiamo e agiamo in direzione di quella decisione, che nel migliore dei casi vuol dire verso noi stessi, verso il nostro Sé più autentico, lasciamo comunque indietro una parte di noi, una possibilità di essere “altrimenti” mettendoci di fronte a una delle questioni esistenziali che alcuni di noi più temono: la nostra imperfezione.

L'ansia

Al tema dell’imperfezione è collegata l’ansia, madre di tutte le fobie: essa ci interroga, ci pone una domanda. L’autrice la descrive come un messaggero, invitandoci ad ascoltarla, a evitare di narcotizzarla attraverso rimedi più o meno sintetici, in quanto, il messaggio che porta riguarda la nostra condizione esistenziale. In gioco c’è di nuovo la questione della scelta e del libero arbitrio. L’ansia ci pone in una posizione di iper-riflessività, di non naturalezza, rendendo artificioso il rapporto con gli altri e il mondo.

Le emozioni e le relazioni: la compassione

Al mondo delle relazioni con gli altri è intrinsecamente legata la compassione. Nella compassione, che etimologicamente significa “soffrire insieme”, la persona si trova in una posizione di passività in cui subisce uno stato emotivo. Di norma, questo stato riguarda la sofferenza degli altri, ma, a differenza delle altre emozioni negative che ci allontano dall’altro, la compassione (qui l’autrice cita Spinoza) ci permette di riscoprirci e riconoscerci simili agli altri nella vulnerabilità rendendo impraticabile l’indifferenza.

L'antipatia

Un’altra emozione che rende impraticabile l’indifferenza e ci costringe a fare i conti con noi stessi è l’antipatia. Infatti, essa ci obbliga a etero-centrarci, a porre l’attenzione sugli altri e a confrontarci con il fatto che potremmo essere noi quelli antipatici. Questa è una condizione che spesso mette a dura prova la tenuta dei confini della nostra identità, ma una volta ancora l’autrice ci esorta ad ascoltarla, a fare i conti con essa e con gli sguardi degli altri consigliandoci di riflettere sul fatto che forse i rischi più gravi potrebbero derivare dal nascondere la propria debolezza perpetuando il vizio di essere simpatici a tutti i costi.

Emozioni di ira

L’ira va considerata all’interno del tipo di società esistente. In una collettività come la nostra, basata sul senso di colpa, l’ira si caratterizza da un lato, a livello sociale, per il suo legame al senso di ingiustizia e alle regole interne della comunità e, dall’altro, nella sua accezione arcaica, per il suo aspetto animalesco, ingovernabile e primordiale. Nel primo caso è tesa alla riparazione dell’ingiustizia subita e al ripristino dell’ordine secondo le norme vigenti all’interno della società, mentre nel secondo è mossa dal desiderio e della pretesa del castigo.

Sentimento di invidia

Partendo dalla sua etimologia l’invidia viene caratterizzata dal suo aspetto non verbale, ossia come il “guardare storto… di sbieco”. La relazione tra invidia e sguardo ci informa del dolore e del tormento dell’invidioso e della sua condizione di schiavitù rispetto ai propri occhi. Il vissuto è di ingiustizia ed esclusione, l’invidioso non vuole “nulla” di meglio per sé ma semplicemente che chi lo circonda, e che lui ritiene essere un suo simile per condizioni esistenziali, non abbia ciò che lui ritiene siano dei privilegi immeritati.

Questo sentimento è esperito come una forza a cui l’individuo non riesce a sottrarsi e che lo pone in una posizione umiliante. Date le sue caratteristiche moralmente, socialmente e, soprattutto, personalmente poco accettabili, l’invidia non si confessa perché è causa di vergogna, è la dimostrazione di una mancanza, di insicurezza e di bassa stima di sé: la gioia che provoca l’ottenimento del suo scopo è effimera.

La gelosia

A differenza dell’invidia, nella gelosia, il desiderio non riguarda il possedere qualcosa che non si ha ma di non essere escluso dalla relazione a vantaggio di un altro che diventa l’antagonista. Sofferenza e umiliazione si mescolano e minacciano la nostra identità di cui l’affettività è una componente importante. La gelosia è un’emozione che può consumarci se non riconosciuta per quello che è: una forma di insicurezza, un’«insoddisfazione» di noi stessi.

L'emozione della meraviglia

Tra le emozioni che la società attuale tende a narcotizzare c’è la meraviglia. Secondo l’autrice questo è un rischio che non ci possiamo permettere perché essa ha un ruolo fondamentale nella nostra vita emotiva e cognitiva. La disposizione personale che favorisce migliora l’apprendimento, l’apertura al mondo e a ciò che ci circonda rendendoci ricettivi e curiosi nei confronti delle novità permettendoci di sentire il mistero di essere al mondo.

La felicità

La felicità viene descritta come una vera e propria vocazione dell’uomo. Essa non è composta dalla somma di tanti piccoli momenti lieti, ma è determinata da un percorso, un viaggio verso noi stessi e il nostro essere più autentico.

Dunque, non una condizione esistenziale senza problemi e/o pensieri negativi, bensì una posizione di fedeltà a noi stessi in cui non ci si tradisce per corrispondere ad altro da noi (ad esempio le aspettative o i bisogni di un’altra persona) e per fare ciò bisognerebbe conoscersi: è qui che il compito diventa arduo. In altre parole, quella della felicità è una ricerca della forma migliore di noi stessi che si snoda attraverso gli alti e i bassi della nostra esistenza: un viaggio che abbraccia tutto il nostro essere.

La gratitudine

Infine, il libro viene concluso con il capitolo sulla gratitudine. Considerata come la madre di tutte le virtù, se suscitata o ricevuta, permette di rinnovare il proprio rapporto con il mondo, in termini di fiducia e generosità, consentendo di liberarci dal senso di schiavitù e dal sentirci in debito per ciò che riceviamo credendo di non meritarlo e di non esserne all’altezza.

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Dott. Alvaro Fornasari Psicologo
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