L’adolescenza è da sempre considerata una fase critica dello sviluppo dell’individuo, in quanto si caratterizza come un periodo delicato per lo sviluppo fisico, psicologico e sociale. Questo è anche il periodo in cui si registra il picco di esordio dei Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione (DAN). Ad aggravare questa già delicata situazione, negli ultimi anni, si è assistito a un abbassamento dell’età di esordio con manifestazioni patologiche già a partire dagli 8/9 anni che causano complicanze organiche e psicologiche ancora più gravi.
I DAN rappresentano uno dei disturbi più frequenti in età evolutiva e tra le classi sociali meno abbienti e con un livello socio-culturale più basso, posizionandosi, insieme all’obesità, sul podio delle malattie croniche degli adolescenti.
Il riconoscimento di questi disturbi, soprattutto da parte dei genitori e delle figure adulte (professionali e non) che gravitano attorno ai ragazzi, può risultare complesso per diversi motivi. Innanzitutto, per la scarsa conoscenza, nonostante la loro diffusione, di questi disturbi. In secondo luogo, i DAN, in età evolutiva, si manifestano con caratteristiche diverse rispetto a quelli dell’età adulta per quanto riguarda il profilo psicologico-comportamentale, le manifestazioni organiche e le complicanze. Infine, gli ultimi anni hanno visto l’aumento di forme definite atipiche, in quanto, pur configurandosi come disordini alimentari non soddisfano i criteri per una diagnosi clinica.
Questi motivi, insieme a tutta un’altra serie di difficoltà (ad esempio, carenza di strutture, bassa compliance dei pazienti, il fatto che all’inizio la perdita di peso sia vista in maniera positiva, ecc.), fanno si che l’intervento sia spesso tardivo con conseguenze negative sulla durata e la gravità del decorso.
Caratteristiche cliniche generali
l’Anoressia Nervosa tende manifestarsi nella prima adolescenza, mentre Bulimia Nervosa e Binge Eating Disorder (BED) nella tarda adolescenza.
È meno presente la paura di prendere peso e sono più frequenti sintomi somatici non-specifici (Nicholis et al., 2011)
Minore consapevolezza della severità del disturbo (Fisher et al., 2011)
Maggior rischio di ospedalizzazione
Manifestazioni di esordio più acute e comportamentali più intense
Caratteristiche psicologiche, comportamentali e sociali
Anoressia nervosa a esordio precoce
l’esordio è spesso contrassegnato dal ricorso a una dieta restrittiva
passaggio attraverso forme di alimentazione vegetariana o vegana
sintomi somatoformi (mal di stomaco, bruciore di stomaco, inappetenza, gonfiore) > desiderio di magrezza o set point ponderale (diagnosi differenziale con celiachia e intolleranze)
cambiamenti emotivi e relazionali
esclusione dalle attività tipiche per l’età (scuola, sport, attività di socializzazione, ecc.)
condotte anomale al momento del pasto
conteggio delle calorie
interesse per la gastronomia o la dietetica
rifiuto di bere per paura di aumentare di peso
rifiuto di toccare sostanze oleose temendo possano essere assorbite per via cutanea
Bulimia nervosa a esordio precoce
sensazione di perdita di controllo che porta alla messa in atto di condotte compensatorie (vomito, uso di lassativi, digiuno, iperattività, ecc.)
abbuffate come strategia di regolazione dell’instabilità emotiva (possibile presenza anche di autolesionismo non suicidario in circa il 30% dei casi)
col passare del tempo le abbuffate diventano meno compulsive e più organizzate e ritualizzate
BED ad esordio precoce
caratterizzato dall’impossibilità di controllare il comportamento alimentare
spesso innescato da stati emotivi considerati negativi e/o difficili da tollerare: noia, solitudine, rabbia, stanchezza
Il disturbo con la maggiore prevalenza in età pediatrica è il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID), chi ne è affetto evita il cibo, non vi è interessato, oppure lo seleziona in modo accurato mangiando solo i cibi di un certo colore e/o consistenza. Ne esistono tre sottotipi:
evitamento del cibo per un’apparente mancanza d’interesse per quest’ultimo (una condizione chiamata anche Disturbo Emotivo di Evitamento del Cibo)
evitamento sensoriale del cibo, in cui l’evitamento del cibo è legato alle sue proprietà sensoriali quali aspetto, odore, consistenza, gusto o temperatura
evitamento del cibo dovuto alle preoccupazioni per le conseguenze avversive del mangiare, come il soffocarsi, il vomitare o lo stare male. In questi pz sono anche comuni sintomi come il dolore addominale, alla nausea e la malattia da reflusso gastroesofageo
Al fine di una precoce individuazione del possibile sviluppo di tali disturbi è utile valutare attentamente i seguenti segnali d’allarme:
Cambiamento del tono dell’umore: nervosismo, irascibilità, pianti improvvisi e immotivati.
Tendenza all’isolamento.
Atteggiamento verso la scuola: sindrome della prima della classe, esagerata preoccupazione per il risultato, concentrazione sullo studio di tipo maniacale, paura di non essere mai abbastanza preparati, scarsa concentrazione.
Atteggiamento verso lo sport: eccessiva pratica sportiva, desiderio di andare in palestra tutti i giorni per rilassarsi. Oppure, al contrario, interruzione della pratica sportiva.
Evitare di consumare i pasti insieme agli altri componenti della famiglia tendenza a inventare scuse.
Mangiare grandi quantità di cibo quasi senza accorgersene e senza riuscire a fermarsi.
Tendenza ad andare in bagno dopo i pasti con la radio accesa o fingere di fare una doccia per coprire il rumore del vomito auto-indotto.
Accusare spesso dolori allo stomaco, alla pancia, ecc. con la richiesta di lassativi, fibre vegetali, erbe, ecc.
Desiderio di accompagnare la Md al supermercato e restare molto tempo davanti agli scaffali per leggere attentamente le etichette e scegliere i cibi meno calorici.
Vestire con molti abiti sovrapposti o di taglie superiori in modo tale da apparire sempre più o meno della stessa taglia o per coprire le forme del corpo. Allo stesso tempo rifiutare di spogliarsi davanti alla Md e usare spesso la bilancia.
Rifiutare di farsi visitare e di andare personalmente dal medico e/o di parlare ad altri specialisti.
E' possibile prenotare un consulto presso lo studio del dott. Alvaro Fornasari nella pagina dei contatti
Obesità e Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione.Il loro legame è spesso una delle cause dei fallimenti degli interventi per la perdita di peso corporeo.
Le ricerche indicano un’elevata presenza di comorbidità psichiatrica (Disturbi dell’Umore, Disturbi d’Ansia, Disturbi di Personalità, ecc.) nei soggetti con obesità patologica: questa occorrenza è una delle principali cause del fallimento degli interventi per la riduzione del peso corporeo.
Le persone con obesità, a causa della presenza di queste comorbidità, mostrano maggiori difficoltà nell’adattarsi alle nuove richieste, nell’affrontare lo stress, nel cambiare stile di vita, nel seguire le indicazioni terapeutiche, ecc.
Di conseguenza, la complessità di queste condizioni implica la necessità di un intervento multidisciplinare e dell’affiancamento ai diversi e possibili trattamenti per il calo ponderale (nutrizionale, chirurgico e farmaceutico) della valutazione psicologico-psichiatrica prima e del sostegno psicologico-psicoterapeutico dopo.
Queste difficoltà riguardano, in particolare, quei soggetti con obesità in comorbidità con un Disturbo dell’Alimentazione e della Nutrizione (DAN). Infatti, obesità e DAN sono fenomeni profondamente collegati:
Sono stati rintracciati in soggetti con Bulimia Nervosa genotipi che predispongono all’obesità
L’eccesso di adiposità è stato riconosciuto come un fattore di rischio per lo sviluppo di Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa
Spesso, come fattore disvelante di un DAN, vi è l’inizio o il fallimento di una dieta (ovviamente, non è la dieta in sé la causa, ma le motivazioni che hanno portato a prendere la decisione di intraprenderla)
Spesso le persone con obesità sono ignare di questi loro disfunzionali modi di essere, attribuiscono così il fallimento (più spesso i fallimenti) alla loro incapacità e/o inadeguatezza, sviluppando e alimentando così un circolo vizioso di sentimenti negativi (senso di colpa, vergogna, frustrazione, bassa stima di sé, ecc.) che a loro volta alimentano e perpetuano il manifestarsi del/i disturbo/i e del nocivo rapporto con il cibo.
I percorsi di trattamento e cura dell’obesità e dei DAN richiedono un cambiamento significativo in diversi aspetti di noi stessi e della nostra esistenza, di conseguenza, generalmente, il processo risulta lento, lungo e difficoltoso. Ma, con l’adeguata motivazione, il giusto supporto e una équipe di professionisti preparati è possibile migliorare sé stessi e le proprie condizioni di vita.
C. Julmi ed E. Schern (cap. 10, in “Psicopatologia e atmosfere”, G. Francesetti e T. Griffero, 2022) analizzano, dal punto di vista fenomenologico, il fenomeno del Burn Out. Partendo dalla descrizione che si trova in letteratura (Maslach et al., 2001) ne delineano le caratteristiche che si esplicitano nell’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la percezione di una ridotta capacità di rendimento.
Secondo gli autori, l’esaurimento nervoso è la risultante di una prolungata esperienza di stress, nella forma di una tensione o di una pressione percepita e costante:
“… in una situazione stressante l’energia proprio-corporea è fortemente sollecitata. Lo stress, dunque, nasce innanzitutto come uno sgradevole stato di tensione allorché una situazione giudicata rilevante viene percepita a livello atmosferico come incontrollabile, nonché come fastidiosa e opprimente; quando accade di trovarsi stabilmente in siffatte incontrollabili situazioni, che logorano costantemente l’energia proprio-corporea, si giunge al punto in cui tale energia si esaurisce, aprendo la strada all’esaurimento emotivo (C. Julmi ed E. Scherm, 2022).”
Queste parole descrivono molto bene quelle situazioni lavorative in cui è a rischio la nostra identità personale e ci sentiamo demotivati, disattenti, inefficienti, sempre stanchi e nonostante il riposo non riusciamo a recuperare le energie.
Un’altra conseguenza della perdita di energia è il manifestarsi di un senso di alienazione dal mondo e dagli altri (Fuchs, 2000), che si traduce in sentimenti di indifferenza e apatia. Questa è la fase della depersonalizzazione, dove l’essere nel mondo è caratterizzato da senso di estraniamento da sé stesso e dagli altri, e da una significativa difficoltà nei rapporti interpersonali (Maslach et al., 2001). Vi è una sorta di avvitamento su sé stessi, di chiusura nei confronti del mondo e delle altre persone a scopo difensivo e protettivo. Un aspetto interessante della depersonalizzazione così intesa è, secondo C. Julmi ed E. Schern (2022), che risulta in parte determinata da un ambiente orientato in maniera eterodiretta (ossia da altri e non da noi, imposta) al risultato. Un ambiente siffatto, in cui una delle caratteristiche principali è il controllo, promuove sentimenti di sfiducia, l’esaurimento delle energie corporee, l’indebolimento del legame affettivo con l’ambiente e le persone coinvolte, e, infine, ostacola il coinvolgimento e la crescita personale. Inoltre, essendo la depersonalizzazione un disturbo del legame affettivo con l’ambiente, gli individui che ne sono affetti subiscono un globale calo della motivazione e del senso di autoefficacia.
L’aspetto interessante di questa visione è che questo fenomeno potrebbe estendersi, oltre all’ambiente lavorativo, a tutti quei luoghi che, anche non condividendo le stesse caratteristiche, vengono strutturati come quest’ultimo: la famiglia, la scuola, la relazione affettiva, l’attività sportiva, ecc.
Questo modo di intendere tale fenomeno potrebbe avere importanti ripercussioni sulle modalità di intervento in quei casi in cui tali ambienti siano disfunzionali per l’individuo.
La terza fase si esplica nella percezione della ridotta capacità di rendimento. Qui la sensazione predominante è quella di sovraffaticamento, l’individuo non si sente in grado, per energie e competenze, di riuscire a far fronte alle richieste dell’ambiente o presunte tali. Infatti, a volte, è l’individuo stesso a creare queste condizioni riponendo su sé stesso delle aspettative eccessive.
Secondo gli autori, il manifestarsi del burn-out è la conseguenza della relazione tra la rottura del legame affettivo con l’ambiente, caratteristica della depersonalizzazione, e il sovraffaticamento causato dalla percezione delle ridotte capacità di prestazione.
A fini preventivi è utile imparare a tracciare dei confini tra sé e sé, e tra sé e gli altri evitando di farsi carico di qualsiasi richiesta e imparando anche a dire di no ad alcune richieste che potrebbero sovraccaricarci. Inoltre, è importante riuscire a riconoscere i possibili campanelli di allarme, come ad esempio quelli che caratterizzano gli ambienti che non permettono l’autodeterminazione e la realizzazione di sé.
BIBLIOGRAFIA
Francesetti G., Griffero T. (2022). Psicopatologia e atmosfere. Prima del soggetto e del mondo. Giovanni Fioriti Editore, Roma 2022.
I fattori che possono svolgere un ruolo nel manifestarsi di un Disturbo dell’Alimentazione e della Nutrizione sono di diversa natura (biologica, psicologica e sociale) e, generalmente, vengono classificati in predisponenti, perpetuanti il disturbo e iatrogeni.
I primi riguardano:
il genere, il sesso femminile è quello maggiormente colpito anche se negli ultimi anni sempre più maschi iniziano a manifestare delle difficoltà in questo ambito;
l’età, il periodo più sensibile va dalla pre-adolescenza alla prima giovinezza;
una storia premorbosa di sovrappeso e di diete negli anni dell’infanzia e della prima adolescenza;
malattie croniche congenite o che esordiscono in età evolutiva (sindrome di Turner, malformazioni, diabete di tipo 1; ecc.);
ereditarietà;
l’epigenetica, ossia l’esposizione in età precoce a particolari situazioni ambientali.
All’interno dei fattori predisponenti un ruolo preponderante lo assumono le caratteristiche psicologiche: a) tendenze ossessive espresse fin dall’infanzia; b) perfezionismo (ad es., essere la prima della classe); c) aspettative esasperate su se stessi; d) grandi difficoltà nel processo di separazione-individuazione dalle figure genitoriali; d) rifiuto del corpo adulto e della sessualità; e) fissazione all’infanzia e a forme infantili di dipendenza e di controllo; f) narcisismo patologico; g) scarso controllo degli impulsi; g) intolleranza alle frustrazioni; h) tendenza a bruschi cambiamenti d’umore; i) soggezione al mito del successo; l) bisogno di rispondere sempre alle attese sociali e di compiere al meglio le prestazioni richieste; m) dipendenza dal consenso e dall’ammirazione degli altri; n) fattori familiari che possono svolgere un ruolo protettivo o di rischio.
Il secondo tipo di fattori
ossia quelli che tendono a perpetuare la sindrome riguardano:
Vantaggi secondari: attenzioni speciali da parte dei familiari, evitamento di situazioni intime, sessuali e sociali angosciose;
L’impoverimento progressivo dei rapporti affettivi e sociali: questo fattore ha un triplice effetto, infatti, è sia predisponente, scatenante e di mantenimento;
Gli effetti della malnutrizione che tendono a perpetuare i sintomi per via di retroregolazioni psicobiologiche.
fattori di natura iatrogena
Infine, ci sono i fattori di natura iatrogena di cui sono responsabili gli “operatori sanitari” e le cure che forniscono:
Prescrizione di diete più o meno drastiche;
Prescrizione di preparati ormonali che provocano artificialmente la comparsa di mestruazioni;
Rialimentazioni forzate non adeguatamente contratte con il/la paziente
I Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione sono disturbi complessi che, come abbiamo visto, dipendono da molteplici cause e motivazioni, e che per questo richiedono l’intervento di professionist”i” qualificati e competenti.
In riferimento ai modelli psicologici presentati nell’articolo al seguente link sono diversi gli interventi psicologici che possono essere utilizzati durante la riabilitazione e per il ritorno all’attività sportiva.
Quali Interventi psicologici nell'infortunio sportivo utilizzare
Questa varietà permette, di volta in volta, di intervenire sulle diverse dimensioni psicologiche implicate. Ad es., si può intervenire sulla valutazione cognitiva con il self-talk, o con il biofeedback per fornire informazioni sul recupero; si può migliorare la gestione delle emozioni attraverso l’educazione e le visualizzazioni, e, ancora, si può migliorare la motivazione utilizzando la tecnica del goal-setting o tramite il supporto sociale.
L’intervento educativo aumenta la consapevolezza dell’atleta a proposito della propria situazione e fornisce una visione più chiara del processo di riabilitazione: questo permette di mitigare le emozioni negative, ad es. riducendo ansia e depressione, di migliorare la motivazione e la fiducia in sé stessi.
Un altro intervento che ha importanti ripercussioni sulla motivazione e sull’impegno dell’atleta è quello del goal-setting, risultando uno dei più efficaci per un miglior ritorno alla competizione. Per essere efficace il goal-setting deve avere alcune caratteristiche:
Deve essere chiaro e realistico: induce nell’atleta un maggior senso di controllo sul processo di riabilitazione.
Gli obiettivi devono essere stimolanti: determinano una maggiore attivazione dell’individuo.
Bisogna combinare obiettivi a breve e lungo termine: serve a mantenere alta la concentrazione.
Un programma basato sul goal-setting riduce l’ansia, migliora il senso di autoefficacia, l’aderenza al programma e fa percepire il trattamento come più efficace.
Un’altra tecnica spesso impiegata nel processo riabilitativo riguarda l’utilizzo delle visualizzazioni. Oltre a promuovere un miglior ritorno alla competizione, il suo impiego facilita il mantenimento delle abilità individuali e tattiche, e aumenta la fiducia in sé stessi. Se utilizzata in associazione con le tecniche di rilassamento (ad es. il rilassamento muscolare) riduce stress e ansia, e migliora le capacità di affrontare il dolore.
Infine, il self-talk, attraverso la ristrutturazione cognitiva, il pensiero positivo e l’automonitoraggio, aiuta l’atleta a riconoscere e modificare i pensieri negativi che potrebbero ostacolare il recupero e aiuta a ridurre le preoccupazioni.
Articolo a cura del dott. Alvaro Fornasari psicologo e psicoterapeuta a Vigevano è possibile prenotare un appuntamento presso la sede.
Il dott. Fornasari è iscritto all'albo degli psicologi della regione Lombardia e si occupa professionalmente di Interventi psicologici nell'infortunio sportivo.
In questo articolo vorrei esporvi brevemente alcuni dei modelli psicologici maggiormente utilizzati in fase di riabilitazione in ambito sportivo in seguito a un infortunio. Tra questi troviamo il modello bio-psico-sociale, il modello di valutazione cognitiva, il modello per fasi e il modello motivazionale.
Il modello bio-psico-sociale
Nel modello bio-psico-sociale, l’infortunio e l’outcome del processo riabilitativo vengono caratterizzati attraverso 7 dimensioni: i fattori socio-demografici, i fattori biologici, i fattori psicologici, i fattori sociali e contestuali, i risultati intermedi bio-psicologici e quelli finali post-infortunio. Questi fattori sono relati reciprocamente tra di loro e con i risultati a medio e lungo termine.
Innanzitutto, le dimensioni biologica, psicologica e sociale sono influenzate da diversi fattori (cause, tipo e localizzazione del danno, severità dell’infortunio, storia dell’atleta e dei precedenti infortuni, età, genere, etnia, status socio-economico); a loro volta, queste dimensioni, influenzano i risultati a medio termine come la capacità di movimento, la forza e la resistenza, la percezione del dolore, la lassità articolare e la durata del recupero. Infine, i risultati a medio termine influenzano quelli finali della riabilitazione come le prestazioni funzionali, la qualità della vita post-infortunio, la soddisfazione rispetto al trattamento e il desiderio di tornare a praticare sport.
Modello della valutazione cognitiva
Secondo il modello della valutazione cognitiva, proposto prima da Brewer (1994) e integrato successivamente da Weise-Bjornstal e coll. (1998), la risposta emotiva all’infortunio (ad es., paura, rabbia, tristezza, ansia, ecc.) è influenzata dalla valutazione cognitiva che l’atleta fa della situazione. La valutazione cognitiva, a sua volta, subisce l’influenza dei fattori psicologici, di personalità e situazionali. Una valutazione cognitiva disfunzionale avrebbe esiti negativi sul comportamento dell’atleta e sulla sua aderenza al programma di riabilitazione, inficiando di conseguenza i risultati di quest’ultima.
Modello a stadi
I modelli a stadi postulano che l’infortunio sia seguito da una successione di emozioni e atteggiamenti/attitudini: un po’ come prevedono alcune teorie sul lutto.
Secondo la teoria a stadi denominata “ciclo affettivo dell’infortunio” di O’Connor e coll. (2005) le possibili risposte all’infortunio sarebbero tre: la negazione, l’angoscia e il fronteggiamento. La prima, la negazione, in cui l’atleta rifiuta o nega l’infortunio, risulta essere adattiva nelle fasi iniziali della riabilitazione, ma se dovesse protrarsi anche nelle fasi successive interferirebbe con il processo terapeutico e l’atleta necessiterebbe di un intervento psicologico. L’angoscia deriva invece dalle emozioni negative suscitate dall’infortunio, quali: tristezza, ansia, paura, senso di perdita e dall’alterazione della propria identità di sportivo. Una volta che l’atleta riesce a superare la fase della negazione e a gestire l’angoscia entrerà nella fase del fronteggiamento. Ciò significa entrare in quella fase che permette le migliori condizioni di recupero, attraverso un’adeguata valutazione delle risorse personali, la definizione di obiettivi realistici, una migliore profusione dell’impegno, un’ottimale aderenza al programma riabilitativo e una più efficace cooperazione con il personale medico.
Modelli motivazionali
La motivazione è un fattore importante in ambito sportivo anche per quanto riguarda gli infortuni, soprattutto nel determinare l’aderenza al programma riabilitativo (Chan e coll., 2011).
Modello dell’autodeterminazione (Ryan e Deci, 2000)
Il costrutto dell’autodeterminazione è considerato dagli autori come un continuum ai cui estremi vi sono la demotivazione e la motivazione intrinseca, o autonoma, che è il livello più alto di motivazione ad agire: sono i bisogni interni di competenza, autonomia e relazione a guidare questo tipo di motivazione (Pietrantoni e Prati, 2012). Tra la demotivazione e la motivazione intrinseca ci sono diversi livelli di regolazione (a cui corrispondono diversi gradi di efficacia) dei comportamenti, delle azioni e delle intenzioni ad agire: regolazione esterna, regolazione introiettata, regolazione identificata e regolazione integrata.
Il tipo di motivazione determina la differente reazione al trattamento: ad esempio, un miglioramento della motivazione autonoma aumenta l’impegno, la persistenza e la soddisfazione. Altri fattori positivi di predizione dell’outcome dell’intervento riabilitativo sono il supporto all’autonomia da parte dello staff medico e il supporto sociale.
Sport e disturbi alimentari: alcuni studi (Byrne e McLean, 2002; Sundgot-Borgen e Torstveit, 2004; Torstveit et al, 2008) hanno evidenziato una maggiore prevalenza di Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione (DAN) nella popolazione adulta di atleti professionisti rispetto ai non atleti e, in particolare, in quegli sport la cui pratica e ideali sono maggiormente “sensibili” al peso e alla forma del corpo (ad es., danza, ginnastica artistica e ritmica).
Inoltre, come nella popolazione normale, la maggioranza sono donne (i risultati di diversi studi attestano la prevalenza di un DAN tra le atlete professioniste tra il 18 e il 28% (Torstveit et al., 2008)) che hanno iniziato a sviluppare il disturbo durante l’adolescenza e, in molti casi, in seguito a una dieta.
Sport e disturbi alimentari nella pubertà
La pubertà può essere un periodo critico dello sviluppo di uno sportivo perché i cambiamenti corporei che avvengono durante questa fase della propria esistenza non sempre ben si adattano alle richieste prestative di un determinato sport e allora si possono subire pressioni dall’esterno (allenatore, preparatore, famigliari) per raggiungere determinati standard; oppure è l’individuo stesso ad avere la sensazione soggettiva che il proprio corpo non si adatti all’ideale specifico dello sport praticato, in questo caso sarà lui stesso a mettersi sotto pressione al fine di raggiungere quello specifico ideale (Drinkwater et al, 2005).
A questo proposito è importante sottolineare che nel mondo dello sport la sempre maggiore e precoce diffusione delle pratiche di specializzazione in un determinato sport, ossia prima della maturazione corporea dei giovani atleti, potrebbe portare a scegliere una pratica sportiva non adatta alle caratteristiche fisiche che si svilupperanno in seguito alla pubertà. Questo è un altro fattore che potrebbe spingere il/la giovane atleta a mettere in atto una serie di comportamenti finalizzati a prevenire o contrastare i naturali cambiamenti fisici che avvengono durante la maturità corporea.
Fattori di rischio associati con lo sviluppo di un Disturbo dell’Alimentazione e della Nutrizione
Generalmente, l’eziologia dei Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione viene ricondotta a un modello multifattoriale in cui determinati e predisponenti fattori biologici (genetica, genere, ecc.), psicologici (perfezionismo, bassa stima di sé, ansia, ecc.) e sociali (media, cultura, stress, ecc.) interagendo con determinate condizioni ambientali (commenti sul peso e la forma corporea, eventi traumatici, ecc.) sarebbero alla base del manifestarsi e del mantenimento dei sintomi.
I rischi sport-specifici
Oltre ai fattori di rischio generali, sopra elencati, gli atleti possono incontrarne di specifici connessi allo sport praticato, come:
Precoce specializzazione (vedi sopra);
Controllo frequente del peso: può portare a un’ossessione nei confronti del proprio peso e alla messa in atto di comportamenti disfunzionali per il suo controllo;
Dieta e perdita di peso in età precoce (pre-adolescenza e adolescenza);
Pressioni per perdere peso (vedi sopra);
Ideale di magrezza legato al miglioramento delle prestazioni: come per il controllo del peso, avere come orizzonte di senso il fatto che le proprie prestazioni dipendono dalla propria magrezza può portare al perseguimento di tale ideale a tutti i costi e con ogni mezzo;
Situazioni stressanti ed eventi traumatici (infortuni, sovrallenamento, ecc.): spesso l’inattività conseguente a un infortunio può causare un aumento di peso che l’atleta può cercare di evitare con la messa in atto di comportamenti alimentari non adeguati;
Fattori Psicologici (ricerca della perfezione, orientamento al risultato, ecc.);
Regolamenti di alcuni sport: i regolamenti di alcuni sport (ad es. boxe o alcune arti marziali), in cui il peso è un fattore determinante per la categoria in cui si compete, possono spingere alcuni atleti a cercare di controllare il proprio peso attraverso l’utilizzo di pratiche estreme come ad es. il “taglio del peso”;
Comportamento degli allenatori.
Su quest’ultimo punto vorrei soffermarmi un po’ di più dato che la figura dell’allenatore ha un ruolo particolarmente importante per l’atleta.
L’allenatore
L’allenatore gioca un ruolo importante nella vita sportiva e non dell’atleta. Di conseguenza, la sua attitudine rispetto al peso e alla forma del corpo dell’atleta può avere un forte impatto sul comportamento di quest’ultimo. Può succedere che un atleta inizi una dieta restrittiva su consiglio dell’allenatore di perdere peso e, come sappiamo, iniziare una dieta, ad es. in adolescenza, può essere un trigger per lo sviluppo di comportamenti connessi a un DAN soprattutto in soggetti più sensibili al manifestarsi di tali disturbi.
Ovviamente, questo fatto non vale per tutti gli individui. Il rischio diminuisce nel momento in cui l’atleta viene seguito da persone competenti e adeguatamente formate, invece, aumenta nel momento in cui a questa richiesta del coach si affiancano conoscenza ed educazione alimentare non adeguate che possono tradursi in commenti azzardati sul peso, o disinformazione sul controllo di quest’ultimo, o ancora nella messa in atto di comportamenti inappropriati che possono mettere in pericolo la salute e il benessere dell’individuo (Bonci et al., 2008).
A tal proposito, sarebbe utile che gli allenatori fossero informati rispetto alle caratteristiche di questi disturbi e a delle efficaci strategie di comunicazione così da prevenire e intervenire tempestivamente, con l’aiuto di un esperto, nel caso ce ne fosse bisogno.
Principali tecniche psicologiche nella riabilitazione
Le principali tecniche psicologiche utilizzate nel processo di riabilitazione sono:
Interventi educativi
Disambiguare l’idea dell’atleta rispetto al processo riabilitativo → impatto positivo su emozioni e motivazione, riduzione del livello di preoccupazione e ansia, aumento del senso di controllo.
Fornire accurate informazioni pratiche rispetto all’infortunio e al processo riabilitativo
Tradurre la terminologia medica in riferimento al danno
Incrementare la consapevolezza del dolore che scaturirà durante i trattamenti
Spiegare come la riabilitazione potrà favorire il recupero e quanto sia importante l’aderenza ad essa
Informare sulle possibili reazioni psicologiche → favorisce il fronteggiamento delle emozioni negative connesse all’infortunio, promuove l’investimento personale e un ruolo attivo nel processo di recupero, facilitando l’aderenza alle attività di trattamento
Tecniche di ristrutturazione cognitiva e self-talk
Influenzano direttamente le risposte emotive e comportamentali dell’individuo
Favoriscono l’accettazione dell’infortunio
Riducono la catastrofizzazione dei pensieri e la sostituzione con altri più realistici e positivi
Favoriscono l’emergere di emozioni positive, autoefficacia e fiducia
Favoriscono la concentrazione e l’aderenza al piano riabilitativo
Goal setting
Favorisce l’aumento dei livelli di motivazione, impegno, perseveranza e autoefficacia
Efficace sia per la sua funzione cognitiva che motivazionale
Facilita la capacità di affrontare l’infortunio, favorisce la riduzione dello stress post-infortunio, migliora la gestione delle emozioni e del controllo del dolore, impatta sull’aderenza.
Favorisce il mantenimento della concentrazione, della motivazione, della fiducia in sé stessi e delle risposte emotive.
Tipi:
Healing imagery: immaginazione di processi fisiologici di guarigione → accelera il recupero
Pain management imagery → processo di allontanamento del dolore
Rehabilitation process imagery → prima e dopo gli esercizi riabilitativi: accelera l’apprendimento, facilita l’esecuzione e migliora la tecnica
Performance imagery → in fase di attività mantiene attive le specifiche abilità sportive e le aree tecniche
Relaxation imagery → utile nel controllo dell’ansia e della concentrazione, aumenta l’autoefficacia, facilita il rilassamento e favorisce una visione positiva.
Tecniche di rilassamento e gestione dello stress
Le tecniche di rilassamento sono essenzialmente di due tipi (Arvinen-Barrow w Walhker, 2013):
Somatiche → servono ad allentare le tensioni del corpo: rilassamento progressivo muscolare di Jacobson, controllo del respiro, respirazione diaframmatica e biofeedback.
Cognitive → si basano sull’assunto che la distensione della mente si possa tradurre in un rilassamento del corpo (Hedgpeth e Sowa, 1998) risultando utili per alleviare dolore e stress: training autogeno (Schultz, 1969).
Tecniche psicofisiologiche
Come il biofeedback (Santi e Pierantoni, 2013), permettono, attraverso il monitoraggio di alcune funzioni biologiche (tensione muscolare, ritmo cardiaco, temperatura corporea), di controllare i cambiamenti del sistema nervoso autonomo e i risultati, di contrastare le percezioni falsate e le errate interpretazioni delle risposte corporee (migliorando fiducia e autoefficacia), e di ridurre ansia e preoccupazioni (Brewer, 2009).
(tratto da “Caratteristiche psicologiche correlate alle diverse fasi di recupero dall’infortunio sportivo: revisione critica della letteratura”. C. Conti, S. di Fronso e M. Bertollo, 2015).
Quali sono i fattori psicologici che predicono lo sviluppo di un disturbo dell’alimentazione e il suo mantenimento nel tempo?
Sia l’osservazione clinica che la ricerca empirica suggeriscono che i fattori psicologici giocano un ruolo fondamentale nell’eziologia e nel mantenimento delle patologie dell’alimentazione. La ricerca ha evidenziato la presenza di alti livelli di perfezionismo, bassa fiducia nelle relazioni e paura della maturità. I tratti perfezionistici sarebbero alla base della rigidità del comportamento alimentare, dell’eccessiva enfasi posta al raggiungimento dell’ideale di magrezza e di un peggiore esito del trattamento.
La sfiducia nelle relazioni interpersonali interferirebbe con la possibilità di avere relazioni significative e di poter esprimere i propri sentimenti agli altri, con la conseguente difficoltà nell’autoregolazione delle emozioni negative. La paura della maturità rifletterebbe la difficoltà ad assumersi le responsabilità dell’età adulta e il desiderio di non abbandonare le sicurezze dell’infanzia.
In uno studio del 2013 Holland L. A. et al. hanno indagato come perfezionismo, bassa fiducia nelle relazioni e paura della maturità possano essere predittori dell’insorgenza e del mantenimento di un disturbo dell’alimentazione e della nutrizione a 10 anni di distanza.
I risultati hanno confermato l’importante ruolo dei fattori psicologici come possibili fattori di rischio per l’insorgenza di una patologia dell’alimentazione. Nello specifico, i risultati, hanno avvalorato la tesi secondo cui la paura della maturità sia un importante predittore del manifestarsi di un disturbo dell’alimentazione e della nutrizione sia in adolescenza che in età adulta: la fascia di età a maggiore rischio sarebbe quella che va dai 20 ai 30 anni.
Generalmente, in questo periodo, l’individuo si trova a dover affrontare una serie di cambiamenti (ad es. andare a vivere da solo, cercare un lavoro, il matrimonio, la maternità/paternità, ecc.) che possono portare a una perdita di stabilità personale o di familiarità con la propria esistenza. Da questo punto di vista, il disturbo può configurarsi come un tentativo disfunzionale di recuperare il controllo e di regolazione emotiva. Invece, per quanto riguarda l’influenza della sfiducia interpersonale il suo effetto riguarderebbe solamente l’insorgere della malattia.
Solamente il perfezionismo è risultato essere un fattore di rischio per il mantenimento del disturbo. Gli autori sottolineano come quest’ultimo aspetto sia fondamentale per l’intervento con questi disturbi: un lavoro sul perfezionismo dovrebbe essere uno dei principali target sia per quanto riguarda la prevenzione che la terapia in questo ambito.
In sintesi, alcuni fattori psicologici contribuiscono in maniera differente all’insorgenza e al mantenimento delle patologie alimentari. Perfezionismo, sfiducia nelle relazioni interpersonali e paura della maturità risultano essere predittori per l’insorgere del disturbo, ma solamente il perfezionismo per il suo mantenimento.
Contenuti dell'articolo
La risposta emotiva nell’infortunio: quali sono i principali fattori psicologici che influenzano l’esperienza dell’infortunio?
Wiese-Bjornstal (1998) ha proposto un modello (Fig. 1) per la comprensione del processo di risposta emotiva e psicologica all’infortunio. Secondo tale modello, la risposta psicologica all’infortunio e al processo riabilitativo dipende dalla valutazione cognitiva a cui vengono sottoposti due ordini di fattori: personali e situazionali.
La risposta emotiva nell’infortunio i fattori personali
I primi si dividono a loro volta in quattro categorie e riguardano:
Infortunio: storia, severità, cause percepite e stato della guarigione.
Differenze individuali: psicologiche, di personalità, percezione di sé stessi, motivazione, tolleranza al dolore, livello di atletismo, capacità di coping (ossia di fronteggiare la situazione), storia dei fattori di stress e umore.
Caratteristiche demografiche: genere, età, etnia, stato socio-economico ed esperienze sportive precedenti.
Caratteristiche fisiche: utilizzo di aiuto ergogenico (ossia fattori esterni che permettono di migliorare la prestazione o il recupero, possono essere meccanici, farmacologici, fisiologici, nutrizionali o psicologici) e disturbi dell’alimentazione e della nutrizione.
I fattori situazionali
Mentre, quelli situazionali si dividono in:
Sport: quale, livello di partecipazione, periodo della stagione e pratica vs competizione.
Sociali: influenza dei compagni di squadra, influenza dell’allenatore, dinamiche familiari, influenze del team medico, supporto sociale e tipo di etica/filosofia sportiva.
Ambiente: tipo di riabilitazione e possibilità di accesso alla riabilitazione.
Valutazione cognitiva
La valutazione cognitiva, da cui poi dipenderanno le risposte emotive e comportamentali, consiste in: regolazione dell’obiettivo, valutazione delle possibilità di recupero, credenze e attribuzioni (rispetto all’infortunio e al recupero), percezione di sé stessi, senso di perdita e dolore, e capacità cognitive di coping.
Secondo questo modello la valutazione del danno causato dall’infortunio riveste un ruolo cruciale nell’influenzare la risposta emotiva e comportamentale durante il processo riabilitativo.
Figura 1. Modello integrato di descrizione della risposta psicologica agli infortuni sportivi e al processo di riabilitazione (Wiese-Bjornstal, 1998).
Altri fattori che influenzano la risposta emotiva nell’infortunio e nel processo riabilitativo.
Altri fattori che influenzano il processo riabilitativo e l’infortunio sono i tempi di recupero e il modo in cui si affrontano queste esperienze: se considerati come un ostacolo da superare e un’esperienza da cui trarre degli insegnamenti che possono migliorare la conoscenza che si ha di sé stessi, sia come persona che come atleta, l’esito della riabilitazione sarà migliore e i tempi di recupero più brevi.
L’accettazione precoce dell’infortunio e un atteggiamento proattivo, uniti a una buona conoscenza delle conseguenze legate al trauma e di che cosa comporterà il percorso riabilitativo possono contribuire a dissipare i pensieri e le risposte emotive negative.
Dalla letteratura emerge che le principali paure legate a un infortunio riguardano la perdita d’indipendenza, della propria posizione all’interno della squadra, della forma fisica, di dover chiedere aiuto e della propria identità di sportivo.
Al tema dell’identità sono strettamente legati quelli di fragilità e vulnerabilità che risultano esserne una componente importante nella sua strutturazione. L’emergere di questi sentimenti va a intaccare quelle componenti, quali stima di sé, sicurezza, autoefficacia, consapevolezza delle proprie capacità, che giocano un ruolo importante nei livelli di impegno e prestazione dell’atleta.
risposta emotiva nell’infortunio e percezione di controllo
Un altro aspetto importante legato al processo di recupero è determinato dalla percezione di controllo e responsabilità personali rispetto alle possibilità di recupero. In altre parole, un outcome positivo può dipendere in buona parte da quanto l’atleta sente ed è convinto che il buon esito della riabilitazione dipenda da lui.
McDonald e Hardy (1990) suggeriscono che la riabilitazione sia un processo attivo che impegna gli atleti in una serie di compiti sottolineando così l’importanza di mantenere a un buon livello la motivazione e il focus dell’attenzione sul processo di guarigione.
Altri fattori positivi riguardano il supporto sociale, quello dello staff medico, l’affrontare l’infortunio come un’opportunità per conoscere meglio sé stessi.
Uno degli aspetti emotivamente più difficili nell’affrontare l’infortunio e la riabilitazione concerne l’aderenza alle pratiche riabilitative. Spesso rimanere ingaggiati nel percorso riabilitativo può essere difficile per una serie di motivi e questo può portare a perdita di motivazione, o a non curarne tutti gli aspetti, oppure, una volta che ci si sente meglio, ad abbandonarlo prima che sia terminato con conseguente aumento del rischio di ricadute.
Conclusioni
In sintesi, l’influenza principale del modo di pensare e comportarsi dell’atleta rispetto alla risposta emotiva è determinata dai livelli di concentrazione e di impegno profusi nella riabilitazione, dal tipo di atteggiamento nei confronti della possibilità di ottenere un pieno recupero (ottimismo vs pessimismo). La risposta emotiva dipende dalla capacità di mantenimento della propria stabilità personale, dalla valutazione della situazione, dalla ricerca di supporto sociale, dalla proattività e positività con cui si affrontano infortunio e processo riabilitativo e dal considerare quest’ultimi come delle sfide da affrontare che permetteranno di conoscere meglio sé stessi.
Ai sensi dell’art. 13 del Regolamento (UE) 679/2016 desideriamo informarla che il Regolamento Europeo 679/2016 – GDPR prevede la tutela delle persone fisiche rispetto al trattamento dei dati personali.
Secondo la normativa indicata, tale trattamento sarà improntato ai principi di correttezza, liceità e trasparenza e di tutela della Sua riservatezza e dei Suoi diritti.
Cookie strettamente necessari
I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.